In questa guida spieghiamo quali sono i gradi dell’aggettivo qualificativo.
Con l’aggettivo qualificativo possiamo esprimere non soltanto la qualità, ma anche la misura (grado) in cui tale qualità è posseduta:
bello, più bello, bellissimo; brutto, più brutto, bruttissimo.
Bello e brutto si dicono di grado positivo perché esprimono solo la qualità senza indicarne la misura; più bello e più brutto si dicono di grado comparativo perché esprimono una qualità stabilendo un confronto; bellissimo e bruttissimo si dicono di grado superlativo perché esprimono una qualità in misura molto alta.
La possibilità di variare il proprio grado è una delle caratteristiche che distinguono l’aggettivo dal nome. Infatti, una casa o un tavolo non potranno dirsi più casa o più tavolo, casissima o tavolissimo; anche se talora, nell’uso familiare e scherzoso, oppure nel linguaggio della pubblicità, del giornalismo, della televisione, si trovano formazioni come augurissimi, salutissimi, padronissimo, occasionissima, affarissimo, campionissimo, veglionissimo, canzonissima. Ma si tratta di casi particolari, che compaiono solo in certi contesti.
Il grado d’intensità di un aggettivo lo possiamo variare in due modi:
-relativamente ad altri termini, cioè istituendo un paragone con un’altra unità (grado comparativo: la tua casa è più grande della mia) o con un gruppo di altre unità della stessa specie (grado superlativo relativo: questo appartamento è il più grande del palazzo);
-in assoluto, cioè senza introdurre confronti con altri termini (grado superlativo assoluto), mediante l’aggiunta di un suffisso (una casa grandissima) o di un prefisso (una casa arcigrande, stragrande), oppure per mezzo di avverbi (una casa molto grande), o anche ripetendo o rafforzando l’aggettivo (una casa grande grande, una valigia piena piena o piena zeppa).
Grado comparativo
Il grado comparativo stabilisce un confronto tra due termini rispetto a una stessa qualità:
Mario è più intelligente di Paolo;
Mario è meno intelligente di Paolo;
Mario è intelligente quanto Paolo;
oppure tra due qualità rispetto a uno stesso termine:
Mario è più intelligente che studioso;
Mario è meno intelligente che studioso;
Mario è tanto intelligente quanto studioso.
Come si vede dagli esempi, il comparativo si articola in tre proporzioni (maggioranza, minoranza, uguaglianza), ciascuna delle quali si esprime in un determinato modo.
Il comparativo di maggioranza si ottiene facendo precedere l’aggettivo da più, mentre davanti al secondo termine di paragone possono andare che o di. Quest’ultimo si mette solo davanti a un nome o a un pronome non retti da preposizione o davanti a un avverbio:
è più giovane di Franco; correva più veloce di me; è più riflessivo di prima.
Meno propriamente si direbbe: è più giovane che Franco, correva più veloce che me, è più riflessivo che prima.
Negli altri casi, cioè davanti a un nome o pronome retto da preposizione o quando si paragonano tra loro due verbi, due aggettivi o due avverbi, si può usare solo che:
lo fece più per dovere che per suo piacere;
è più facile a dirsi che a farsi;
pareva più rassegnata che persuasa;
agisce più istintivamente che razionalmente.
Il comparativo di minoranza presenta la stessa costruzione di quello di maggioranza, con la sostituzione di meno a più:
sono stato meno attento di te; sembri meno nervoso di ieri.
Ma una frase come:
è un inverno meno freddo che umido
ha un tono letterario, o poco usuale; di solito si preferisce volgerla così:
è un inverno più umido che freddo.
Il comparativo di uguaglianza si ottiene introducendo il secondo termine con l’avverbio quanto o come, mentre il primo termine può essere usato da solo:
sono stanco quanto (o come) te;
oppure può essere preceduto da tanto o così, ma è oggi un costrutto meno comune:
sono tanto studioso quanto te; sono così studioso come te.
Se il confronto avviene non tra due nomi o due pronomi, ma tra due aggettivi o due verbi, è invece normale l’avverbio correlativo davanti al primo termine:
è una ragazza tanto brava quanto bella;
mi piace così prendere il sole come fare il bagno.
Il confronto potrebbe avvenire mettendo in relazione due comparativi (di maggioranza o di minoranza) con un terzo termine di paragone:
Paolo è tanto più veloce di Marco quanto Giovanni.
Grado superlativo
Il superlativo può essere di due tipi: relativo e assoluto.
Il superlativo relativo esprime il grado massimo o minimo di una qualità, relativamente a un gruppo di persone o cose.
Si differenzia formalmente dal comparativo di maggioranza o di minoranza per la presenza dell’articolo determinativo davanti all’aggettivo o al nome:
è il più bel romanzo che abbia letto;
è l’attore meno adatto per questo ruolo.
Rara, e di tono enfatico, è la costruzione con l’articolo ripetuto: è la città la più grande che conosca. Tale costruzione. che segue il modello del francese (la cité la plus grande), piuttosto comune nella prosa italiana fino all’Ottocento, uscì progressivamente dall’uso a causa della forte opposizione da parte dei puristi, che la bollarono come francesismo.
Invece, quando è preceduto da un nome che ha l’articolo indeterminativo, il superlativo relativo viene sempre introdotto dall’articolo determinativo: un uomo, il più giovane di tutti, ci venne incontro.
Se è espresso un termine di confronto collettivo plurale, questo è introdotto da di o, meno spesso, tra, fra:
l’uomo più ricco di tutti / fra tutti.
Quando il confronto interessa due termini, non si può a rigore parlare di superlativo relativo, ma di comparativo: in una frase come dopo la caduta la gamba più dolorante era la destra si ha un confronto implicito con l’altra gamba e solo con quella, cioè il rapporto di un termine con un altro (comparativo), non di un termine con un gruppo di termini omogenei (superlativo relativo).
Il superlativo assoluto in -issimo indica la qualità al massimo grado, senza relazione con altri concetti:
un amico carissimo, pochissimi soldi;
una manovra abilissima, lenzuola bianchissime.
Per quanto riguarda la formazione, c’è da notare che negli aggettivi uscenti in -io (come pio, vario) la i del tema si conserva se è tonica (piissimo), si fonde con quella della desinenza se è atona ( varissimo). Ampio ha il superlativo latineggiante amplissimo.
Non hanno gradazione alcuni aggettivi che contengono già in sé l’idea del superlativo:
colossale, divino, eccezionale, enorme, eterno, immenso, infinito, straordinario ecc.
Altri aggettivi hanno un significato assolutamente preciso, specifico, e perciò non vengono usati quasi mai al superlativo:
cubico, sferico, triangolare, quadrangolare, chimico, psichico, annuale, settimanale, bronzeo, ligneo, calabrese, spagnolo, asiatico, africano ecc.
L’influsso latino si avverte ancora oggi in alcuni superlativi in -èrrimo e in -entissimo:
Aspro ha sia la forma asperrimo sia quella asprissimo; si possono trovare anche miserissimo (accanto a miserrimo) e salubrissimo (accanto a saluberrimo).
L’uso degli aggettivi in -èrrimo e in -entissimo è ormai piuttosto raro, e riservato a un linguaggio cli tono elevato. Nella lingua comune si preferisce ricorrere a superlativi analitici (cioè formati non da una sola parola, variamente modificata, ma da una perifrasi): molto celebre, assai benevolo ecc.
In qualche caso la forma in -èrrimo usata solo nel senso figurato:
un nemico acerrimo ma un sapore molto acre;
una persona integerrima ma la vista è perfettamente integra.
L’intensificazione del significato dell’aggettivo di grado positivo può essere ottenuta ricorrendo a procedimenti diversi dall’aggiunta del suffisso -issimo. In particolare:
-facendo precedere l’aggettivo dagli avverbi di quantità molto e assai: sono molto contento; tuo figlio è assai intelligente;
meno comunemente la funzione di intensificatore può essere svolta da tutto: ero tutto assorto nei miei pensieri;
-mediante l’uso di avverbi intensificativi come davvero, sul serio, veramente, proprio:
sono davvero arrabbiato; il tuo amico è proprio simpatico;
-mediante la ripetizione dell’aggettivo:
un abbraccio forte forte; sembrava piccolo piccolo avvolto nel mantello;
lo stesso procedimento di reduplicazione intensiva si può applicare in alcuni casi anche a sostantivi, per sottolineare che si intende riferirsi al sostantivo nella sua accezione più autentica, non attenuata: voglio un caffè caffè, cioè un caffè forte (o ben fatto).
-piuttosto raro, e legato a contesti affettivi o familiari, è il superlativo formato mediante l’affissione dei prefissi arti- e stra-: arcicontento, arcistufo, straricco, strapotente (in usi iperbolico scherzosi i due prefissi possono essere combinati: arcistraricco).
Andrà ricordato infine che, in alcune espressioni particolari, un aggettivo o una locuzione comparativa possono intensificare il significato dell’aggettivo di grado positivo: ubriaco fradicio, innamorato cotto, buono come il pane, testardo come un mulo ecc.
Comparativi e superlativi organici
Seguono il modello latino anche i cosiddetti comparativi e superlativi organici, cioè costituiti da un’unica forma del tutto autonoma rispetto al corrispondente aggettivo di grado positivo (senza più o meno o la desinenza -issimo):
I primi quattro aggettivi hanno anche le forme non organiche di comparativo, di superlativo relativo e di superlativo assoluto:
più buono più cattivo più grande più piccolo
il più buono il più cattivo il più grande il più piccolo
buonissimo; cattivissimo; grandissimo; piccolissimo.
Nella maggior parte dei casi i due tipi si equivalgono, anche se si può notare nelle forme organiche una prevalenza del senso figurato:
è il migliore di tutti;
riesce a ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo.
Sono da evitare le «forme miste» più migliore, più ottimo, ottimissimo, in quanto migliore è già comparativo di maggioranza e ottimo è un superlativo assoluto.
Talvolta, in luogo del superlativo organico costruito con migliore o peggiore, si ha un tipo formato con gli avverbi meglio e peggio: i meglio amici, le peggio cose. E un costrutto oggi sentito come fortemente popolare o dialettale, di cui tuttavia non mancano esempi letterari.
Ci vengono dal latino altri comparativi e superlativi organici, che mancano del grado positivo:
Le coppie esteriore-estremo, inferiore-infimo, interiore-intimo, superiore-supremo (o sommo) sono talvolta adoperate come comparativo e superlativo, rispettivamente, di esterno, basso, interno, alto. Da notare qualche caso in cui la forma non organica ha senso proprio, quella organica senso figurato:
lo strato più interno della roccia, la vita interiore;
un monte altissimo, un sommo poeta.
I comparativi citeriore (‘situato al di qua’) e ulteriore (‘situato al di là’) sono usati soltanto in alcune denominazioni di regioni storiche: Gallia citeriore, Gallia ulteriore. Ulteriore indica anche qualcosa che si aggiunge a quanto già detto o fatto: per ulteriori informazioni si rivolga alla segreteria.
I superlativi primo e ultimo hanno anche le forme primissimo e ultimissimo, usati in espressioni enfatiche:
primissima qualità, ultimissima moda;
sono inoltre possibili espressioni come:
l’ipotesi più estrema, i familiari più prossimi, i sentimenti più intimi.
Possiamo dedurne quanto si sia indebolito, nella coscienza dei parlanti, l’originario valore comparativo e superlativo di questi aggettivi.